Cesare Beccaria

Cesare Beccaria fu il primogenito di una nobile famiglia milanese, non ricca ma comunque benestante. Suo padre discendeva da un ramo di una illustre famiglia pavese, che aveva ottenuto il titolo marchionale nel 1712. Tra gli otto e i sedici anni studiò nel Collegio Farnesiano di Parma (gestito dai gesuiti) ed in seguito si laureò in Legge a Pavia nel 1758.


Nei primi anni Sessanta entrò nella cerchia dell’Accademia dei Pugni dei fratelli Verri iniziando una proficua collaborazione con la rivista il «Caffè», in cui trovarono spazio sia discussioni su grandi temi economici, scientifici e sociali sia argomenti specifici, come l’innesto del vaiolo, all’insegna di una letteratura utile per la società.


Un testo fondamentale dell’Illuminismo italiano fu il volume da lui scritto Dei delitti e delle pene (1764), pubblicato anonimo per evitare la censura, che proponeva una riforma del sistema penale per ottenere un codice di leggi chiare, sottratte all’arbitraria interpretazione dei singoli giudici, a tutela dei cittadini che avevano il diritto di essere considerati innocenti fino a prova contraria.


I passi più complessi riguardavano la tortura e la pena di morte. Beccaria affermò l’inutilità della pena capitale per la società, che avrebbe invece tratto vantaggio da una pena

pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi.